Passeggiata in via Umberto I e via Roma

Itinerario
Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su whatsapp
Condividi su email

Prato della Valle: “Questo luogo sino alla metà dello scorso secolo non aveva altro pregio che la sua vastità: i ruderi di un teatro romano (lo Zairo), la chiesa di Santa Giustina, il cenobio degli opulenti monaci benedettini e le storiche rimembranze. Palustre e fuligginoso (umido), era ricettacolo di acque stagnanti, sparso di canneti, nido di insetti. Il Provveditore veneto Andrea Memmo lo cambiò in luogo di delizia” (Chevalier, 1831).

Del Prato della Valle esistono le incisioni del Canaletto, prima della sistemazione del Memmo nel 1744.

È tra le piazze più grandi d’Europa (ma non la seconda, come spesso ritenuto), con una superficie di 88.620 metri quadrati. Al suo centro – l’ellittica Isola Memmia – si accede da quattro ponti (due con obelischi, uno con quattro statue di Papi, uno privo di due statue). All’interno e all’esterno della canaletta (l’acqua giunge dal Bacchiglione passando sotto il ponte della Porta Santa Croce, e il bastione, sempre per vie sotterranee passa via 58. Reggimento fanteria Abruzzi e sbocca al Ponte dei Papi) sono complessivamente 88 statue in pietra tenera, che celebrano personaggi in qualche modo legati alla vita della città o dell’Università.

Due viali a crociera si incontrano in una fontana. La piazza era intitolata “delle statue” e poi “Vittorio Emanuele II”. I soggetti delle statue hanno la numerazione incisa su piedistalli. Da segnalare la numero 85 del recinto interno che raffigura Andrea Briosco, scultore padovano morto nel 1532; ai suoi piedi il busto della poetessa padovana Gaspara Stampa (1523-1554), unica presenza femminile.

Seguiamo la numerazione civica del Prato girando a sinistra per chi proviene da via Umberto, cominciando al numero 1 con il quattrocentesco palazzo Angeli, già residenza di Andrea Memmo con la sua passione, l’inglese lady Giustiniana Wynnie.
Il palazzo ospita dal 1998 l’interessantissimo museo del Precinema “Minici Zotti”. Sotto il portico, ammiriamo il cinquecentesco affresco “Annunciazione”.

Al numero 9, palazzo Sartori-Morassutti (già Vendramin-Calergi), che ha ospitato il 1. agosto 1866 Vittorio Emanuele II (lapide sulla facciata).

Ai numeri 21-22 una casa eretta nel 1434 da Palla Strozzi, l’umanista fiorentino confinato a Padova dove è morto nel 1462. Nell’area attigua sorgeva la chiesa di Santa Maria di Betlemme delle suore agostiniane. Ai numeri 23-24 la palazzina d’angolo con l’annesso ospedale per ciechi del 1441.
Via Luca Belludi, palazzine di Agno Berlese (1922-1930): “Le strette bifore, i balconcini, le numerose decorazioni policrome, ma soprattutto la torretta d’angolo caratterizzano l’intervento assumendo un tono neomedievalista con tratti di art decò, in sintonia con il gusto di quegli anni”.

Al numero 29, casa Brunetta (1962). Conserva l’aspetto tradizionale esterno del complesso abitativo preesistente; all’interno l’ingegnere architetto Brunetta lo ricostruisce integralmente con una progettazione moderna, superando i limiti di un impianto lungo, stretto e alto, e lasciando al centro della costruzione un ampio spazio aperto, dove la luce che scende dall’alto illumina tutti i luoghi abitativi, che si sviluppano su più piani e a diversi livelli, davanti e dietro.

Ai numeri 41-44, la casa degli Armeni (ora Tonzig). Vi esisteva lo “Stallone”, dove trovavano ricovero notturno gli animali durante la Fiera del Santo e dove poi ha funzionato dal 1778 al 1792 il “Teatro del recinto” o “Teatro Vacca”. Il ricchissimo armeno (donde il nome) Abramo Aganoor, giunto a Padova dalla Persia, vi ha costruito l’edificio. Qui è nata la nipote, la poetessa Vittoria Aganoor (1855-1910). Dietro il teatro Stallone sorgeva l’oratorio di San Leolino o Leonino (per i padovani San Violin) e accanto la cappella di San Michele – entrambi scomparsi – e la “scuola delle mammane o delle comari” per “istruzione di 12 donne dello Stato; indi approvate le abili, vengono rimandate alle loro patrie e esercitare l’ostetricia” (Brandolese, 1795).

Arriviamo così alla basilica di Santa Giustina e al monastero dei Benedettini. La basilica è la nona al mondo per dimensioni, raggiungendo la lunghezza di 120 metri. Nelle quattro nicchie sulla facciata, incompiuta e disadorna, vi sono quattro sculture moderne di Novello Finotti, che rappresentano i quattro evangelisti. Ai lati della gradinata d’accesso, due grifi in marmo rosso che hanno impressionato Théophile Gautier nel suo viaggio in Italia (1852).
La semplicità della facciata contribuisce a sorprendere il visitatore all’interno.

 “Chi può aggirarsi per queste spaziose navate, per queste crociere, e non restare scosso dal loro maestoso carattere, e non sentirsi spandere nell’animo un senso di stupore e di ammirazione, suo danno” (Chevalier, 1831).

Nella cappella di San Luca, l’arca dell’evangelista che contiene il suo corpo, di scultore veneto, fatta eseguire nel 1313 dall’abate Gualpertino Mussato. In alto, copia cinquecentesca della “Madonna costantinopolitana”. Di Amleto Sartori (1960) sono la cornice, i due angeli in volo e gli otto bracci portalampade in bronzo.
Nell’ala del monastero di Santa Giustina prospiciente il Prato, al numero 64 ha ora sede il 5. Comiliter, comando della Regione militare nord-est. All’interno conserva il chiostro della porta e il chiostro dipinto con le storie di San Benedetto. Al numero 71, l’ex Foro Boario – un tempo l’area era di proprietà dei padri armeni mechitaristi -, costruito nel 1913-14 dall’ingegnere Alessandro Peretti. Al centro della facciata un arco fiancheggiato da due coppie di colonne reggenti il frontespizio, su cui spicca la “Scena del mercato” del padovano Antonio Penello. All’interno l’interessante museo della Marina. Qui esistevano la chiesa e il convento della Misericordia, delle monache benedettine.

Ai numeri 80-81 l’imponente palazzo Grimani (ora Verson), all’angolo con corso Vittorio Emanuele. Tra il 1520 e il 1556, i Grimani hanno acquistato un blocco di case, intraprendendo la costruzione. Nel 1621-30 Francesco Grimani ha dato corso a nuovi lavori, su disegno del proto Francesco Contin. Al numero 82, palazzo Zacco, ora Circolo ufficiali di presidio, all’angolo con via Alberto Cavalletto. Un tempo era di proprietà dei padri Mechitaristi armeni e sede del collegio Moorat per studenti, sempre armeni. Il palazzo poggia su sette arcate su pilastri bugnati. Da notare sul cornicione guglie, lunette e abbaino. E stato compiuto nel 1556-57 su progetto di Andrea Moroni.

Al numero 88, palazzo Duodo, ora sede del Comando gruppo Carabinieri. Al numero 99, la Loggia Amulea, il “sipario di pietra”, un tempo collegio dei giovani nobili istituito dal cardinale Antonio Da Mula o Amuleo, distrutto da un incendio nel 1822. Il Comune ha deliberato la costruzione di un palazzo con prospetto a loggia, da servire come residenza al generale comandante il secondo Corpo militare del Lombardo-Veneto. Lo Jappelli ha preparato il progetto, non eseguito. Il progetto è stato affidato all’ingegnere Eugenio Maestri. I pilastri sono in marmo rosso e giallo, il rimanente in terracotta o pietra di Costozza. Lo scultore Antonio Gradenigo ha eseguito le modanature in pietra e le decorazioni. Nel 1965, per il 6. centenario dantesco, sotto le arcate sono state poste le statue di Dante e Giotto, di Vincenzo Vela. Al numero 105 il bel palazzo Duse-Masin. Da segnalare all’interno affreschi neoclassici di Gian Carlo Bevilacqua, Giovanni Demin, Francesco Hayez e Pietro Moro.
Oltre al numero 109 si apre un vicoletto interno: di vicoli ciechi, di corti chiuse – una forma tradizionale urbanistica delle vecchie città (Galimberti, 1968), in quanto erano considerati spazi di uso comune – Padova ha tanti esempi. L’origine è medievale. Proseguiamo sotto i portici per via Umberto I. Al numero 126 una casa con colonnato classico del primo Ottocento. Qui scorreva il canale delle Acquette, che proveniva da via Dimesse, lambiva l’attuale via Acquette, poi percorreva il vicolo Tabacco. Su via San Daniele (ora via Umberto) era il ponte dei Mulini di Prato della Valle, essendovi anche qui funzionanti alcuni mulini.

Al numero 100, casa Da Zara; nel 1867 – proprietario il patriota Paolo Da Zara – vi ha dimorato il 5 e 6 marzo Giuseppe Garibaldi. Praticamente di fronte è la chiesa di San Daniele, eretta nel 1706 a ricordo della traslazione alla Cattedrale dei resti del martire padovano a Santa Giustina. L’attuale facciata è opera dell’architetto Agostino Rinaldi (secoli 18.-19.); nelle nicchie i santi Daniele e Giustina dello scultore padovano Francesco Rizzi (secolo 18.). Sulla parete di destra, una lapide del canonico Giovan Battista Rota (1560) ricorda che vi esisteva la tomba del geniale Ruzante (Angelo Beolco).

Al numero 82, il palazzo Emo Capodilista. Risale al 13. secolo, con l’unica torre privata integralmente conservata. Portici a tutto sesto con affresco, facciata con mattoni a vista: l’edificio dà l’impressione di un munito castello. Il portale è del 1767. Tra gli ospiti illustri del palazzo – una lapide lo ricorda – , nell’agosto 1866 il duca Amedeo di Savoia, secondogenito di Vittorio Emanuele II, dopo essere stato ferito a Custoza.

Al numero 69, il Casino Capodilista, eretto nel 1781. Un edificio a due piani, su disegno di Giovan Battista Novello, preceduto da un piccolo giardino. Al numero 46, il palazzo Venturini, a schema quattrocentesco, su tre ampi archi di portico. Al numero 36, il palazzetto Dottori con trifora. Al numero 27, casa Munari, neoclassica, riconducibile all’architetto veneziano Gian Antonio Selva.

Al numero 8, casa Olzignani, costruita nel 1466 dall’architetto Pietro Lombardo “con superba maestria, gusto raffinatissimo, originalità e sensibilità” (Marchi, 1975). Tutto in simmetria: una quadrifora centrale e finestre laterali; una piccola bifora e finestrelle quadre al secondo piano; capitelli al piano terra e archi ribassati. Questa casa-gioiello, fatta in pietra di Nanto, subisce da tempo gravi deterioramenti.

Al numero 6 la settecentesca casa Valmarana, attribuita all’architetto Francesco Muttoni, con un lato sul canale di Santa Chiara, dove si osserva un portale di accesso per le comunicazioni fluviali. Portali del genere, specie per agevolare carico e scarico di merci dalle barche, ma anche per le persone, si trovavano su quasi tutti gli edifici lungo l’ora interrato Naviglio. Via Umberto I si conclude al ponte delle Torricelle (qui è stata demolita l’omonima porta nel 1819, scomparsa la cinta muraria medievale; una lapide ricorda “Ezzelino/entrando vincitore e tiranno/qui tratto l’elmo/la cittadina porta/avidamente baciò”.

Proseguiamo per via Roma, incontrando la chiesa della Natività di Maria, conosciuta come Santa Maria dei Servi. Nel 1372, in un periodo di grande sviluppo artistico e culturale, è stata costruita la chiesa di Santa Maria dei Servi da Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco il Vecchio da Carrara. Alla morte di Fina, il figlio Francesco Novello nel 1392 ha ceduto la chiesa ai Servi di Maria, congregazione nata a Firenze e approvata dal Papa nel 1304: da qui il nome della chiesa. Più tardi è stato edificato anche un convento servita di cui restano poche tracce (vi è passato il servita veneto più famoso, fra’ Paolo Sarpi).

L’accesso alla chiesa avviene per il portale laterale che si apre nel porticato, le cui eleganti arcate (1511) sono rette da colonne di marmo rosso di Verona, provenienti dalla demolita cappella trecentesca dell’arca del Santo. La facciata est è lungo via Roma con le sue murature in cotto trecentesco e le decorazioni lapidee, le finestre con le due splendide ghiere in cotto e i due rosoni d’epoca gotica e rinascimentale nella facciata ovest. Ha una torre campanaria a grandi bifore su quattro lati, inserita sul lato destro dello stesso corpo dell’edificio sacro. Al tempo dei serviti erano annessi alla chiesa due oratori (si accedeva dal vicoletto antistante la porta principale): quello di Uomobuono della fraglia dei Sarti, e quello della confraternita di Santa Maria del Parto.

Nella piazzola di fronte, ai numeri 83-87, vi era la chiesetta di Sant’Egidio, dove si radunava la fraglia dei Marzari (merciai). Al numero 70, resti di graffiti di soggetti biblico. Al numero 61 la Banca d’Italia: demolito un palazzo ottocentesco, nel 1974 è stato ultimato il nuovo edificio, cominciato nel 1968, progettato da Giuseppe e Alberto Samonà. L’entrata è stata portata nella galleria, parallela al passaggio Tito Livio; quella lungo via Roma intende richiamarsi alla caratteristica padovana dei portici, dei volti, degli archi. La costruzione sia all’interno sia all’esterno è cemento a vista, con assenza di controsoffitti.

Al numero 44, la casa Da Zara-Mazzoleni, con quadrifora al primo piano, e quattro monofore al secondo. L’11 agosto 1888 vi è nato il barone Leonino Da Zara, che nella vicina Bovolenta ha costruito nel 1919 i primi aerodromi italiani. Al numero 13, una piazzola su cui si inseriva la facciata principale della chiesa di Santa Giuliana, poi di Santa Apollonia, ospitante la fraglia degli Orefici, e poi fino al 1916 la tipografia dei fratelli Selmin, che nel 1878 hanno stampato il “Dantino”, la più piccola edizione della Divina Commedia di millimetri 38 per 21.
Via Roma si conclude al Canton del Gallo, che ha conteso per molti anni al Pedrocchi il primato della centralità cittadina. Prende il nome da una antica osteria o bottega, esistente nei pressi, con l’insegna del gallo.

L’origine di via Roma: si sono unificate le brevi vie Sant’Apollonia, Santa Giuliana, dei Servi e Sant’Egidio; proprio in via Sant’Egidio, a scuola dal dottore Anton Maria Gozzi, ha abitato un giovanissimo Giacomo Ca-sanova, e vi ha trovato Bettina, la “graziosa, allegra, civetta” sorella di Gozzi, “che dovrà poi riconoscere sua prima maestra in una disciplina in cui egli acquisterà fama al professore” (Brunelli-Bonetti, 1934). Casanova si è laureato a Padova nel 1742.

Può interessarti anche

Cicloturismo in città e nei dintorni

Le Terme e i Colli Euganei

Cammini e ciclovie

Padova città d’acque

Resta in contatto

Iscriviti per ricevere aggiornamenti sugli eventi e le attività della città di Padova.